SOLOLIBRI.NET - domenica 21 giugno 2020
di Felice Laudadio
![]() Ci si può fidare di uno sconosciuto che precisa di non essere chi ha appena dichiarato di essere? L’avvocato Lucio Manacorda segue sempre l’istinto e questa volta gli dice di fidarsi di questo sedicente colonnello Verdi, che qui afferma questa identità e qui la nega, allo stesso tempo. Qui? Al tavolino di un bar, a Torino, dove ha convocato con una scusa il protagonista del romanzo Il treno da Mosca, un giallo classico di spionaggio alla Graham Greene, con sfumature introspettive, pubblicato da Oltre Edizioni di Sestri Levante nel 2019 e scritto da Maurizio Lo Re (370 pagine). La trama non si sviluppa oggi, ma si colloca alla fine degli anni Settanta del Novecento, età di muri, di cortina di ferro, di guerra fredda e di apparati spionistici in azione. Non che non lo siano tuttora, ma volete mettere cosa combinavano allora, in un’Europa più grigia che a colori? Pur ancorandosi a vicende autentiche e citando qualche personaggio autentico (l’autore si è ispirato ad un diplomatico, Michele Lanza, che ha giocato un ruolo importante nell’Ambasciata di Berlino in un periodo delicato della cobelligeranza italiana con Hitler), questo resta un romanzo con tutti i crismi, il primo di uno scrittore storicamente competente che si è dedicato soprattutto alla produzione saggistica. Davanti al colonnello Verdi, l’avv. Manacorda si sente trasparente, vivisezionato. L’interlocutore, un cinquantenne con gli abiti stazzonati e un chiaro accento meridionale (dissimulato da un’improbabile cadenza piemontese), dimostra di sapere tutto di lui. A sedici anni, nel 1944 Lucio è stato nella Resistenza, staffetta partigiana. Dopo la guerra ha militato nel PCI, ma una carriera brillante nel partito si è interrotta nel 1956, con l’invasione dell’Ungheria: i carri armati russi nelle strade di Budapest lo hanno spinto a restituire la tessera con sdegno, senza più aderire a una forza politica. Dopo la laurea in legge, demotivato da un amore infranto ha interrotto il praticantato legale e si è occupato come ragioniere in una fabbrichetta, salvo riprendere gli studi venticinque anni più avanti, superare l’esame di Stato, iscriversi all’albo dei procuratori legali e diventare il brillante braccio destro del titolare dello studio legale presso il quale lavora. La conoscenza di tanti particolari conferma l’impressione che l’uomo davanti a lui sia un agente dei Servizi. Si è presentato come colonnello Verdi, tenendo subito a precisare che non è il suo vero nome e non si limita a sciorinare dati del suo curriculum alla portata di qualsiasi questurino, ma dimostra d’essere al corrente di considerazioni che Manacorda non si è sognato di rivelare a nessuno. Mai aveva esternato il disagio d’essersi rintanato in un monolocale a leggere gialli, mentre nella società e nella politica si andavano scatenando nel Paese i moti popolari di Genova del 1960 e le proteste di piazza del 1962 durante la campagna per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici, vicende che avevano mobilitato tutti i progressisti, l’intera sinistra ma non Manacorda. Poi l’invasione della Cecoslovacchia, la strategia degli opposti estremismi, il terrorismo, la stagione delle Brigate Rosse, l’eurocomunismo, l’avvicinamento del Partito Comunista Italiano all’area di governo. Il mondo finiva sottosopra e lui niente, tranquillo, nella sua nicchia al buio. Cosa gli chiederà il colonnello che non-è-quello-che-dice-di-essere? Cosa vorrà da proporgli di fare, che lo condurrà a prendere contatti col mondo oltre cortina, in cui sventola la bandiera rossa e la gente ha poco di tutto, ancora meno libertà? leggi l'articolo integrale su SOLOLIBRI.NET |
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